Vincenzo Caniglia Scrittore

13 dicembre 2024

INCIPIT… 14 “IMPARA L’ARTE”

Ieri sono andato a prendere, all’uscita dell’asilo, mia nipote Vittoria.

In genere appena mi vede arrivare, indossa velocemente il cappottino, saluta le maestre e corre verso di me, mi abbraccia sorridente, poi scocca un bacio sulla mia guancia e infine raggiunge in fretta i giochi che sono numerosi e a disposizione nel cortile esterno dell’asilo. Corre senza tregua da un gioco all’altro alternandosi con i compagnetti nelle tante attività fino a consumare le residue energie di una bimba di quattro anni.

Ieri no! Non è stato così!

Si è avvicinata mogia mogia con espressione sconsolata. Mi sono abbassato sulle ginocchia per abbracciarla e stringendola a me le chiesi perché fosse così triste.

Due lacrimoni le uscirono dagli occhi mentre iniziò a parlare:

“Stamattina, mentre giocavamo nel cortile, io correvo inseguita da Annamaria che ad un certo punto mi prende da dietro la felpa e la tira per fermarmi. È stata molto monella perché ha fatto rompere la cerniera della felpa. Ecco perché sono triste: questa era la mia felpa preferita. Ora con la cerniera rotta la dobbiamo buttare nella spazzatura”.

La abbracciai forte e le dissi:

“Vittoria non piangere ci pensa nonno Vincio a cambiare la cerniera. Vedrai tornerà come nuova”.

La sua espressione cambiò e sul viso si stampò un sorriso incredulo.

“Come fai, me lo racconti nonno?” Mi strinse la mano e scordandosi dei giochi del cortile ci avviammo verso casa mentre le raccontavo:

“Come tu sai, io sono cresciuto in un paesino agricolo della Sicilia e quando frequentavo le elementari, le vacanze estive duravano tre mesi ed erano lunghe e noiose da passare senza la possibilità di andare al mare che distava trenta chilometri. Così l’estate tra la quinta elementare e la prima media, avevo dieci anni, mio padre una mattina mi accompagnò dal sarto che aveva il laboratorio a pochi metri da casa nostra, sul lato opposto della strada.

L’artigiano era il padre di un alunno del tuo bisnonno Gaetano, maestro alla scuola elementare del paese. Mio papà chiese al sarto se avessi potuto frequentare il suo laboratorio come garzone; essi si erano accordati per far sì che impegnassi il tempo durante quella lunga estate ed evitare che ciondolassi inutilmente per il paese.

Accettai di buon grado la proposta perché sono sempre stato curioso di imparare cose nuove. Fin da piccolo mi attraevano le attività manuali e artigianali.

Così frequentai la bottega di sartoria dal lunedì alla domenica mattina. Il mio compito all’inizio era di accompagnare il figlio dell’artigiano in giro per il paese a consegnare i vestiti che durante la settimana venivano confezionati.

L’accordo prevedeva che avrei ricevuto cento lire dalle mance che generosamente i clienti mettevano in mano al mio compagno di consegne.

Già dal primo giorno, il sarto mi assegnò un incarico che consisteva nell’infilare il refe nella decina di aghi che erano appuntati su un cuscinetto imbottito di colore blu. La sfida fu impari perché il sarto era velocissimo a usare i vari aghi con il refe e spesso doveva aspettare che io finissi il mio compito; allora mi posi la domanda su come fare per essere più veloce. La risposta la ricevetti in sogno durante quella notte.

Così dalla mattina dopo, appena arrivai nella bottega, mentre il sarto sorbiva il suo secondo caffè della giornata, non persi tempo ad aspettarlo ma cominciai subito a infilare gli aghi. Da quel giorno l’artigiano non ebbe più bisogno di richiamarmi.

Mi piaceva molto frequentare la bottega perché ero circondato da attività nuove e affascinanti che stimolavano la mia curiosità. Per non parlare del profumo che sprigionava il ferro da stiro a vapore e il rumore ritmato che emetteva la macchina da cucire meccanica a pedale. Mi sembrava un mondo fatato: da una semplice stoffa veniva fuori un abito magistralmente confezionato dalla bravura del sarto.

Dopo qualche giorno, visto il mio impegno, il sarto mi affidò le maniche di una giacca tagliate a puntino e mi spiegò come fare un particolare punto attorno all’orlo della stoffa per evitare che si potesse sfilacciare. Anche questo compito mi coinvolse e lo portai a termine acquisendo in pochi giorni la necessaria maestria e perfezione.

Una cosa che mi divertiva osservare, era come il sarto preparava la macchina da cucire e poi pigiando con solerzia sul pedale meccanico della “Singer” riusciva con una velocità impressionante a cucire a regola d’arte i vari pezzi che aveva preparato precedentemente sul lungo bancone che troneggiava nel laboratorio, tagliandoli con una grande e affilatissima forbice, dopo aver riportato le misure del cliente sulla stoffa stesa.

Ovviamente, il pomeriggio, raccontavo a mia madre i progressi fatti e le chiesi se aveva degli scampoli di stoffa e se poteva permettermi di usare la sua “Singer” per mettere in pratica gli insegnamenti mattutini. Avrei cucito dei vestitini per le bambole delle mie sorelle più piccole. E così è stato.

Ecco, cara Vittoria, come mai tuo nonno è in grado di sostituire una cerniera e l’importanza del detto:

“Impara l’arte e mettila da parte”.

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