L’estate del 1968 fu un’estate calda e molto impegnativa per la famiglia di Vincenzino.

Il padre del ragazzo, d’accordo con la moglie, decise che era arrivato il momento di ristrutturare il palazzetto di due piani che si affacciava sul Corso Vittorio Emanuele del paese in cui vivevano. Approfittarono che la casa di loro proprietà sita in Via Galileo Galilei si era liberata dagli affittuari e trasferirono la loro famiglia in tale edificio per lasciare libertà di movimento ai muratori per la ristrutturazione. Vincenzino aveva circa dieci anni e una fervida fantasia. Ai suoi occhi, i materiali necessari per svolgere i lavori edili assunsero un significato e un’utilità diversa rispetto a ciò che rappresentavano per i muratori.

Se per i genitori fu un’estate piena di disagi e gravosi impegni, per Vincenzino, quella stagione rappresentò una delle più interessanti e stimolanti della sua giovane vita!

Egli approfittò di essere il figlio del proprietario della casa in ristrutturazione, per frequentare il cantiere e per usufruire di materiali da manipolare da cui trarre oggetti e divertimenti inusuali.

I muratori tolleravano la presenza del ragazzino perché Vincenzino chiedeva, con educazione, il permesso di prelevare dei materiali di risulta che non avevano alcun valore per loro.

La sua fantasia era alimentata dall’osservazione e condivisione di ciò che altri ragazzi facevano in analoghe situazioni; infatti, era una consuetudine a quel tempo, condividere con i compagni del quartiere le varie opportunità di gioco.

Grazie, quindi, alla disponibilità dei muratori usò gli scarti di materiali non più utilizzabili che gli edili lasciavano alla fine della giornata lavorativa nella casa cantiere.

Uno dei materiali più usati dai ragazzi erano i sacchi che contenevano il cemento. Questi contenitori erano costituiti da più strati di robusta carta. Eliminando quello più interno che era stato a contatto con il cemento e quindi impolverato, restavano a disposizione due strati resistenti, ottimi per la costruzione di aquiloni. La carta veniva modellata a forma romboidale e fissata su uno scheletro costituito da listarelle di canne, che i ragazzi raccoglievano in campagna o lungo i viottoli che si diramavano a partire dall’abbeveratoio comunale posto nell’estrema periferia dell’abitato. Lo scheletro era fissato al rombo di carta con striscioline dello stesso materiale incollate usando una colla che i giovanetti ottenevano mescolando opportunamente acqua e farina di semola. Infine venivano fissate agli angoli laterali e a quello posteriore delle appendici decorative che oltre a rendere più gradevole l’aspetto servivano a mantenere in equilibrio e a stabilizzare il volo dell’aquilone. Queste appendici erano costituite da catenelle ottenute anch’esse da striscioline di carta ripiegate a cerchietti. Il tutto poteva essere abbellito usando dei vivaci colori a tempera. Un lungo spago arrotolato in un rocchetto serviva a lanciare e a governare il volo dell’aquilone.

Dopo aver costruito insieme gli aquiloni, i ragazzini si impegnavano in gare a chi faceva raggiungere l’altezza più elevata.

Altro materiale che acquistava una seconda vita nelle mani di Vincenzino erano gli scarti di mattoni forati: usando un liscio ciottolo, i ragazzi del quartiere li modellavano fino a formare dei pezzi rotondeggianti chiamati “ciappole” che usavano come fossero delle bocce piatte da usare in interminabili gare.

Altro gioco che Vincenzino e i suoi amici amavano fare al tramonto era costruire un piccolo vulcano. Dopo che i muratori avevano terminato la loro giornata lavorativa e avevano ordinatamente ammonticchiato la sabbia di fiume che usavano miscelare al cemento per formare la malta usata per fissare i mattoni, essi scavavano un cunicolo orizzontale alla base del mucchio di sabbia e poi uno verticale ortogonale al primo; lo riempivano con della carta, anch’essa tratta dai sacchi di cemento vuoti e infine usando uno zolfanello davano fuoco alla carta del cunicolo orizzontale. Era una meraviglia da osservare perché il piccolo cratere emetteva fiamme fumo e cenere. Vincenzino con i suoi amici saltellavano tutt’attorno, orgogliosi del risultato del loro manufatto. Ci voleva molta precisione per non far franare la sabbia mentre scavavano i cunicoli.

Quando nel cantiere arrivò l’elettricista, Vincenzino scoprì, con sorpresa, gli scarti dei tubi zigrinati; si potevano usare come strumenti musicali: bastava soffiare in un’estremità ed ecco uscire una nota. Scoprì anche che la nota prodotta, cambiava in relazione alla lunghezza del tubo. La conseguenza immediata fu che i ragazzi organizzarono una sorta di banda musicale che marciava impettita lungo il marciapiede dell’isolato, assordando le massaie che sedevano davanti le porte della loro casa, allorché il sole, stanco del dardeggiare quotidiano, andava a riposarsi raggiungendo il suo giaciglio ad ovest.

Ecco perché per Vincenzino quell’estate rappresentò una stagione, sì calda e afosa, ma magica, stimolante e degna di essere ricordata.

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Una risposta a “INCIPIT… 23 “UNA CALDA ESTATE”

  1. Avatar Maurizio Vaccaro
    Maurizio Vaccaro

    I ricordi sono parte della nostra vita vissuta.Farne memoria ci aiuta a capire meglio chi siamo ora.

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