Vincenzo Caniglia Scrittore
06 settembre 2024
INCIPIT… 06 “PROFUMO”
Vi è capitato che un odore o un profumo percepito per caso, abbia fatto risalire in superficie un ricordo che giaceva, quasi a vostra insaputa, nel più profondo oblio?
Questo è quanto mi è accaduto stamani.
Un fischio acutissimo rimbalzava tra i muri delle case lungo la via; era il tipico “fischio alla pecoraia”. In effetti erano i pastori che attraversavano le strade del paese e sostavano dinanzi ad ogni porta o portone dove sapevano di essere attesi.
Era una sorta di carovana belante aperta da una capra con un grande campanaccio, appeso al collo dell’animale, tintinnante ad ogni passo dell’ovino che rappresentava, per le altre capre, il capo da seguire senza se e senza ma. Se qualche testa calda si voleva allontanare, intervenivano i cani da pastore che li riportavano a più miti consigli. Nell’immaginario collettivo, i cani da pastore sono tutti enormi e bianchi, ma quelli che aiutavano, nella realtà, i pecorai erano cani meticci di tutte le dimensioni e colori, tutti accomunati da una evidente intelligenza canina.
A chiudere la carovana c’era il pastore “u picuraru”; egli si, era aderente nella postura e nell’abbigliamento a quelli della nostra fantasia: pantalone di fustagno, tenuto su da una cordicella come cintura, camicia a grossi quadri sempre di colore scuro, forse per coprire meglio la sporcizia; non poteva mancare la coppola; gli scarponi e per finire un lungo e nodoso bastone. La versione invernale, prevedeva l’aggiunta di un pesante mantello e un “parapioggia” portato chiuso a tracolla, enorme, per proteggersi da improvvisi acquazzoni. La coppola era sempre la stessa, impermeabilizzata e incartapecorita dal sudore e dal sebo prodotto dalla sommità del capo.
All’ora prestabilita, e in ogni caso, appena sentito il fischio, un rappresentante della famiglia, talvolta anche un bambino grandicello, usciva da casa e sostava davanti al portone tenendo in mano un recipiente dalla capacità prestabilita dagli accordi tra il capofamiglia e il pecoraio. Questi arrivava davanti all’uscio, si fermava, si accovacciava e con abili manovre, mungeva i delicati capezzoli delle mammelle di una capra, riempiva il contenitore, salutava gentilmente e proseguiva sospingendo e guidando con i suoi fischi e acuti richiami le capre belanti, fino alla prossima sosta.
Prima di essere consumato per la colazione, il latte era al centro di un rito da rispettare in tutti i suoi passaggi, e guai se non venivano rispettati. Il contenitore del latte, in genere una pentola usata per quello specifico compito, veniva posta sul fornello; si aspettava che il bollore producesse una schiuma che saliva, saliva, e che all’ultimo momento, un attimo prima che potesse traboccare dal bordo della pentola, veniva bloccata dalla sagace casalinga che spostava la pentola dal fornello e aspettava che il latte tornasse all’originale livello. Questo passaggio veniva ripetuto per tre volte, né una in più né una di meno. A questo punto, il latte era pronto per essere distribuito nelle ciotole dei familiari e sorbito con del pane raffermo inzuppato nel gustoso latte.
Tutto questo lavorio con il latte sul fuoco, produceva un odore dolciastro che avvolgeva morbidamente tutta la cucina e titillava l’odorato di tutti i familiari che facevano colazione seduti, insieme, attorno al tavolo.
Questo avveniva nel paese dove sono cresciuto fino alla fine degli anni sessanta.
Il rito della trina bollitura aveva lo scopo di pastorizzare il latte. Oggi compriamo, al supermercato, il latte già pastorizzato e impacchettato in eleganti e colorate confezioni.
Questa mattina ero intento a preparare la mia solita colazione che consiste in una tazza di latte semiscremato appena riscaldato in cui inzuppo due piccoli biscotti, il colesterolo attende al varco, quando squilla il telefono. Rispondo prontamente; all’apparecchio era un caro amico con cui inizio una simpatica chiacchierata. Nel frattempo, il latte traditore, raggiunge il suo punto di bollore e non avendo nessuno che sposta dal fornello la pentolina, fa il suo mestiere, cioè tracima dal bordo e si butta sul piano cottura.
Un intenso odore, gradevole e avvolgente mi attira sull’accaduto; interrompo la telefonata e mi immergo nei ricordi scaturiti nel percepire quel morbido profumo.
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